Sulla Terra, ad oggi, vivono 7,349 miliardi di persone. La maggior parte sono persone come noi, uomini e donne che dormono ogni giorno con un tetto sopra la testa, una famiglia da abbracciare, una patria in cui vivere. Le altre sono coloro che scappano.
Scappano dalla guerra, dalla fame, dai conflitti cui hanno assistito ogni giorno per anni: le loro case sono crollate sotto i bombardamenti della fazione rivale, o di perfetti sconosciuti; i loro familiari sono morti, o son già scappati; mariti senza più moglie, bambini senza più padri, o persone senza più nessuno.
Sono i 65,3 milioni di persone in fuga, in attesa di rifugio o già rifugiati in campi di senza patria, così distanti da una vita normale, da una quotidianità persa e non ancora ritrovata, come lebbrosi in lazzaretti, lontani dalle città, scherniti dai nativi.
Di questi 65 milioni, 3,2 sono coloro che aspettano una decisione sulla loro richiesta d’asilo (il numero più alto mai registrato dall’UNHCR, il Consiglio delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Uomo – ed è in costante aumento, nonostante i tentativi dei paesi industrializzati di trovare compromessi coi paesi da cui queste persone partono in cerca di una vita migliore); 21,3 sono i rifugiati nel mondo, in paesi come la Turchia, il Libano, dove la popolazione dei rifugiati supera rispettivamente i due milioni e il milione; e infine 40,8 milioni sono quelli costretti a fuggire da una casa martoriata, ma che per impossibilità si trovano ancora all’interno dei confini del loro paese.
Facendo due conti, 1 persona su 113 nel mondo è un richiedente asilo, uno sfollato interno o un rifugiato. Usate l’immaginazione, pensateci, figurateveli. O fate un esperimento: uscite di casa e contate, contate 112 persone: voi siete il 113 e siete in fuga. Se ne prendete altre 112, il 113 sarà un bambino. Sì, perché i bambini rappresentano il 51% dei rifugiati nel mondo.
Già che ci siete, spingetevi un po’ oltre. Dicevamo: sei tu lo sfollato, il cercatore di nuova vita; ma non sai dove andare: nei Paesi in cui bene o male ti accoglierebbero, vivresti in distese di minuscole abitazioni tutte uguali, in baraccopoli in cui la massima aspirazione è tornare in quella che era la tua casa, in quello che era il tuo paese, prima che fossi costretto a scapparne.
Ma da qualche parte devi andare, no? E allora prendi e vai, verso un campo di rifugiati. Come in Libano, dove il 25% della popolazione è composta da rifugiati: 1,033,513 persone stipate in campi di tende fragili, con un lavoro precario, quasi sicuramente in nero, ma comunque sottopagato. Per fare un esempio, il 70% dei rifugiati siriani libanesi vive con meno di 3,84 dollari al giorno.
Ora: nessuno chiede a nessuno di battersi in prima persona per ridare dignità e speranza a questi 33 milioni di bambini e a quegli altri 32 milioni di esseri umani disperati. E non lo si chiede perché, fortunatamente, qualcuno già lo fa.
La situazione è così drastica e in peggioramento, che associazioni di tutto il mondo, ma anche grandi aziende, progettano e finanziano architetti affinché soluzioni abitative più decorose, sane e fruibili siano garantite ai rifugiati sparsi per il mondo in tendopoli in cui forse vivranno per sempre. Quelli che seguono sono soltanto alcuni dei progetti edilizi il cui obiettivo è quello di migliorare le condizioni di vita degli sfollati.
Il progetto Ikea
Si chiama RHU il modulo abitativo prodotto IKEA col supporto dell’Agenzia ONU per i rifugiati. Scopo principale è la rapidità nel montaggio e la facilità di trasporto. Secondo le stime dei produttori, il modulo è assemblabile in mezza giornata, pesa soltanto 98 kg, può ospitare fino a 5 persone, è isolato termicamente e può durare fino a tre anni. Tra i vantaggi c’è la possibilità di ancorare l’abitazione nei terreni più vari, dalla ghiaia alla sabbia, dall’argilla all’asfalto; inoltre, il sistema fotovoltaico in grado di assicurare agli abitanti l’elettricità. Gli svantaggi? Costa 7000 euro.
La Hex House
E’ un progetto che punta non soltanto ad essere una soluzione nel breve termine, per l’emergenza, ma anche per il lungo periodo. Ha una forma esagonale, modulare, ideata per famiglie numerose, dal momento che le singole unità si possono unire per aumentare la superficie interna, oltreché migliorandone le prestazioni termiche.
La Matriz
Alloggio pensato per il clima e la geografia delle regioni andine peruviane, vuole essere una soluzione adatta a quel territorio costantemente martoriato dai terremoti e dalle inondazioni delle piogge torrenziali.
E’ una struttura reticolare in alluminio, ricoperta da fogli isolanti e riflettenti i quali all’interno hanno uno strato di schiuma isolante in grado di evitare le dispersione di calore. In questo caso gli architetti, oltre ad aver puntato alla funzionalità del modulo, hanno valutato anche l’estetica del prodotto, consci del fatto che il comfort di una casa si deve anche alla sua bellezza.