Da Venezia che sprofonda allo sbiancamento di massa della Grande Barriera Corallina australiana, il cambiamento climatico sta impattando in maniera drammatica su alcuni dei siti Unesco più conosciuti ed apprezzati al mondo.
Ad oggi oltre 1000 siti da visitare almeno una volta nella vita si sono guadagnati un posto nella lista dei siti patrimonio dell’Unesco per merito del loro “incredibile valore universale” per l’umanità.
Purtroppo, se il mondo come pare continuerà a riscaldarsi a causa dell’attività umana attraverso le emissioni di gas serra, molti di questi luoghi potrebbero perdere una parte del loro “incredibile” valore o addirittura smettere di esistere del tutto.
Probabilmente l’esempio più lampante è l’impressionante Ilulissat Icefjord, un sito patrimonio dell’Unesco in Groenlandia dove il ghiacciaio Sermeq Kujalleq si sta letteralmente sciogliendo di fronte ai nostri occhi, in parte a causa del riscaldamento climatico.
Il fiordo viene addirittura pubblicizzato dal governo della Groenlandia come un’opportunità per vedere con i propri occhi il cambiamento climatico in azione, ed una destinazione da vedere “prima che sia troppo tardi”.
“Virtualmente ogni sito patrimonio dell’Unesco è in qualche maniera minacciato dal cambiamento climatico” ha dichiarato Adam Markham, vicedirettore del Programma Clima ed Energia presso l’”Unione degli Scienziati Preoccupati”, un’associazione non governativa con sede negli Stati Uniti.
In alcuni siti il pericolo è ovvio ed evidente
Il Parco Nazionale di Yellowstone negli Stati Uniti, per esempio, sta vivendo inverni più corti con minori precipitazioni nevose, fiumi più caldi, laghi e paludi sempre più piccoli e più lunghe stagioni degli incendi, secondo un report congiunto del Programma Ambientale delle Nazioni Unite, dell’Unesco e dell’”Unione degli Scienziati Preoccupati”.
Gli scienziati stimano che circa la metà delle paludi presenti nell’ecosistema di Yellowstone potrebbero sparire, e gli incendi più frequenti potrebbero trasformare la densa foresta in un bosco molto più rado con il passare del tempo.
Altrove, eventi riconducibili a El Niño stanno riscaldando le acque attorno alle Isole Galàpagos al largo delle coste dell’Ecuador e stanno distruggendo le risorse alimentari su cui si basano molte specie autoctone.
Il livello in crescita dei mari e le onde più alte durante le tempeste minacciano di rovesciare le misteriose statue sulla remota Rapa Nui, anche conosciuta come isola di Pasqua, nell’Oceano Pacifico sud-orientale.
Una minaccia in rapida crescita
Un sito naturale Unesco su quattro è gravemente minacciato dal cambiamento climatico, secondo il report dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), che ha riguardato 241 siti naturali.
Il trend è raddoppiato dal 2014 al 2017, secondo il report, rendendo il cambiamento climatico la “minaccia in crescita più rapida”.
Le temperature in crescita dei mari stanno impattando in maniera negativa sulle barriere coralline, come quella dell’Atollo di Aldabra, nell’Oceano Indiano, la Barriera Corallina del Belize nell’Oceano Atlantico e la Grande Barriera Corallina in Australia.
Nel 2016 e 2017, le onde di calora marine causate dal cambiamento climatico hanno ucciso circa metà dei coralli presenti sulla Grande Barriera Corallina, assieme a molti altri in tutto il mondo. E qualora il cambiamento climatico non dovesse rallentare, lo IUCN prevede che molti altri siti entreranno in sofferenza nel prossimo futuro.
Mechtild Rossler, direttore del World Heritage Centre dell’Unesco, ha dichiarato che il Centro monitora in maniera continua i siti patrimonio dell’umanità. “Se non possiamo proteggere questi siti da tali pericoli – e sono molteplici – come sarà il nostro futuro?” ha dichiarato in un’intervista.
“La Convenzione Unesco dichiara esplicitamente che è necessario identificare questi siti unici e trasmetterli alle future generazioni. Se non abbiamo più nulla da trasmettere, si tratta di una situazione drammatica”.
Possiamo ancora salvarli?
Una soluzione potrebbe essere sviluppare un indice di vulnerabilità climatica, ha spiegato il già citato Adam Markham. Questo potrebbe permettere alle Nazioni di gestire i siti Unesco in maniera più consepevole, capendo meglio, monitorando e affrontando i rischi del cambiamento climatico.
Rossler ha inoltre sottolineato la necessità di strategie di adattamento agli eventi meteorologici estremi ed agli ambienti estremi, spesso possibili recuperando conoscenze e tradizioni delle comunità locali.
Per esempio, nel fragile ambiente della Sierra de Tramuntana, un sito Unesco sull’isola di Maiorca dove l’acqua iniziava a scarseggiare, la popolazione è ricorsa con successo a sistemi d’irrigazione tradizionali, ha spiegato. “Se un sito è ben mantenuto le sue possibilità che riesca a sopravvivere ai cambiamenti climatici sono alte”.
Tuttavia Markham riconosce che probabilmente non sarà possibile proteggere tutti i siti, in particolare nelle zone meno sviluppate del pianeta.
Benchè sia ottimista sul fatto che i manager dei siti Unesco stiano considerando come gestire il cambiamento climatico, non è convinto che i governi nazionali stiano prendendo le decisioni necessarie per rallentarlo.
Parlando di cambiamento climatico si torna sempre agli obiettivi dell’accordo di Parigi, ovvero limitare il riscaldamento globale a molto meno di due gradi, ricorda. “Purtoppo al momento non siamo sulla traiettoria corretta per farlo” ha aggiunto Markham. “Se non dovessimo riuscire a raggiungere gli obbiettivi dell’accordo di Parigi perderemmo moltissimi siti Unesco”.
Da noi quali sono i siti a rischio?
Nel nostro ‘Bel Paese’ esistono alcuni siti particolarmente minacciati dai cambiamenti climatici. In totale si tratta di tredici località nostrane, dichiarate patrimonio dell’Unesco che, nella peggiore delle ipotesi, potrebbero essere spazzate via da eventi naturali (inondazioni, erosione delle coste o innalzamento del mare).
Ecco la lista delle città che rischiano di non sopravvivere in Italia all’attuale secolo:
- Napoli
- Vicenza (centro storico)
- Ferrara
- Ravenna
- Cinque Terre
- Genova
- Pisa
- Pompei (sito archeologico)
- Siracusa
- Costiera Amalfitana
- Venezia
- Paestum (sito archeologico)
- Val di Noto
A lanciare l’allarme è uno studio pubblicato dalla rivista Nature Communications, che punta l’obiettivo su un totale di 49 siti Unesco, in sedici differenti Paesi del Mediterraneo, tutti caratterizzati da una vicinanza alla costa.
In questo elenco l’Italia propone il maggior numero di città a rischio, seguita dalla Croazia (sei siti) e dalla Grecia (tre siti).
Nonostante sia l’unica città a vantare un sistema di protezione dalle maree, Venezia occupa indubbiamente il primo gradino di questa funesta classifica. In attesa della totale attivazione del Mose, il rischio resta elevato. In seguito invece città e laguna verranno protette dall’acqua alta, anche se fino a un massimo di tre metri.
Guardando al Mediterraneo, 37 località rischiano d’essere devastate da un’alluvione nei prossimi 100 anni, mentre 42 dovranno probabilmente fare i conti con l’erosione costiera.
In alcuni casi, non così rari, il rischio è doppio. A coordinare lo studio è stata Lena Reimann, dell’università di Kiel, che evidenzia come due siti si salverebbero da queste minacciose previsioni: lo storico sito archeologico turco di Xanthos-Letoon e l’oasi della città di Medina, in Tunisia.