Il Climate Risk Index 2020, uno studio annuale della Ong tedesca Germanwatch pubblicato il 4 dicembre scorso, ha calcolato in quale misura i Paesi del mondo sono stati colpiti da eventi climatici estremi, e li ha classificati in base alla loro vulnerabilità a questo tipo di calamità.

Esso mostra come nell’anno 2018 (anno i cui dati sono stati analizzati) il Giappone sia stato il Paese più colpito dagli eventi meteorologici estremi, seguito da Filippine e Germania.

Tre dei primi dieci Paesi in cima alla lista sono Paesi del nord del mondo, dimostrando ancora una volta, semmai ve ne fosse stato bisogno, che i cambiamenti climatici colpiscono senza distinzioni di ricchezza o reddito.

Rischio aumentato di 100 volte

Il lavoro degli ultimi anni dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) conferma che esiste un collegamento diretto tra il cambiamento climatico e la frequenza e intensità delle ondate di calore, che nell’anno in esame sono state la causa di danni più frequente.

A questo proposito si è stimato che nel Vecchio Continente sia aumentato di circa 100 volte il rischio di ondate di calore rispetto al secolo scorso. Si tratta di eventi che possono portare a conseguenze gravi a vari livelli, sia sulla salute umana che sul territorio, provocando a cascata siccità, incendi e persino cicloni e trombe d’aria.

E per quanto il Belpaese sia protetto dalle Alpi, ed affacciato su un mare relativamente tranquillo come il Mediterraneo, nella classifica non siamo messi bene.

Nel rapporto si legge infatti come l’Italia si sia classificata al 21esimo posto nel mondo per impatti da eventi climatici estremi nel 2018.

Questo dato tiene conto di molti fattori: per esempio nel corso dell’anno l’Italia si è classificata come ottavo Paese per perdite in milioni di dollari (per persona) riferibili a disastri ambientali, come 28esimo per morti legate a tragedie connesse a questi fenomeni e il 27esimo per perdita di Pil.

Italia al 26° posto per morti negli ultimi 20 anni

Per dare una dimensione ancor più completa della gravità del fenomeno possiamo citare ulteriori dati. Guardando infatti i risultati dell’ultimo ventennio 1999-2018, i morti a causa di oltre 12mila eventi meteorologici estremi sono circa 500mila persone.

In questa statistica l’Italia risulta al 26esimo posto nel mondo, classificandosi al sesto per morti causati da cambiamenti climatici, e 18esimo posto per perdite di milioni di dollari (sempre pro capite).

D’altra parte la cronaca racconta spesso come vasti settori dell’Italia, dal Settentrione al Meridione, siano stati colpiti da intensi eventi meteorologici: si può citare, ad esempio, la recente frana che ha causato il crollo del viadotto sull’autostrada A6, in seguito alla copiosa e incessante pioggia durata diversi giorni.

Infatti, le problematiche legate a eventi catastrofici non risalgono soltanto a danneggiamenti strutturali alle opere, come è avvenuto per il ponte Morandi, ma anche a criticità idrogeologiche.

Le conseguenze sul territorio: frane ed erosione delle coste

Le frane, la cui percentuale in Italia è maggiore rispetto a quella di altri paesi europei, si innescano maggiormente su strati argillosi anche di spessore limitato, come è accaduto alla diga del Vajont: disastro avvenuto il 9 ottobre 1963 franata a causa di piccoli strati argillosi di 2-3 cm di spessore che si staccarono dal monte Toc e precipitarono nel bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont, al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, provocando un’onda di piena che superò la diga e distrusse il paese di Longarone causando 1917 vittime. E’ chiaro come il cambiamento climatico non possa che esacerbare tali calamità.

In Italia sono poi 33 le aree a rischio per l’innalzamento dei mari, sempre conseguenza del cambiamento climatico, soprattutto le zone della costa settentrionale del mar Adriatico, tra Trieste e Ravenna.

Qui, oltre all’aumento del livello del mare, va calcolata anche il lento e inesorabile inabissamento delle terre che vanno dalla Romagna al Veneto.

Non è solo Venezia quindi, già abituata al fenomeno dell’acqua alta, che potrebbe diventare una nuova Atlantide, sono centinaia le città costiere in pericolo.

L’importanza della cooperazione internazionale

Lo studio tedesco – che viene presentato ogni anno durante la conferenza Cop sul clima, quest’anno di stanza a Madrid – sottolinea anche l’importanza di questi negoziati per poter stabilire strumenti finanziari che sopperiscano alle perdite e ai danni permanenti causati dal climate change.

A dover essere deciso in ambito internazionale è ancora come risarcire i paesi colpiti dai danni causati da questi fenomeni.

Finora i paesi industrializzati si sono rifiutati di negoziare strumenti di risarcimento, soprattutto perché le conseguenze sono sempre più marcate nei paesi sottosviluppati e provocherebbero ulteriori spese di riparazione.

Ma per la prima volta quest’anno, durante la Cop25, il sostegno finanziario per le perdite e i danni legati al clima è all’ordine del giorno e verrà discusso.

Già l’accordo di Parigi, di fatto, non tratta solamente di dover concordare livelli di emissioni di anidride carbonica e regolamentazioni del prezzo del carbonio, ma anche metodi di compensazione che possano aiutare i paesi più colpiti a mitigare gli effetti del cambiamento climatico.

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