La blockchain, anche conosciuta come Distributed ledger technology (Dlt), è la tecnologia alla base di Bitcoin e criptovalute.

Si tratta di un sistema di rendicontazione digitale e decentralizzato in grado di tenere traccia del possesso di “token” o asset digitali in maniera precisa ed inalterabile.

Questi token possono rappresentare qualunque cosa, sia digitale che reale, permettendo così di mantenerne un libro mastro valido per tutti i partecipanti del sistema e costantemente aggiornato.

Se il token è un’unità di valore, avremo una criptovaluta. Se invece rappresenta un’immobile, avremo una sorta di catasto decentralizzato.

Ma cosa succede se lo usiamo per rendicontare le tonnellate di CO2 prodotte dalle Nazioni? Ecco l’idea alla base della Blockchain for Climate Foundation.

Facciamo un passo indietro

Nel settembre 2018, il World Economic Forum pubblicò un report intitolato “Building Block(chains) for a Better Planet”, che identificò 65 casi d’uso esistenti ed emergenti della blockchain in un’ottica di salvaguardia ambientale.

Alcune innovazioni che la blockchain potrebbe portare secondo questo report erano relative al monitoraggio, reporting e verifica dei dati relativi alla sostenibilità ambientale, tempi di risposta ad eventi estremi e piattaforme per aiuti umanitari e gestione del territorio.

La Blockchain for Climate Foundation è un ente no-profit che dichiara di voler “metter l’Accordo di Parigi su blockchain” ed utilizzare la blockchain per connettere le rendicontazioni nazionali delle tonnellate di CO2 emesse, nella speranza che questo consenta una maggior collaborazione internazionale e maggiori investimenti nella riduzione delle emissioni.

Joseph Pallant, Fondatore della Blockchain for Climate Foundation, ha dichiarato che l’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi mette le basi per la collaborazione internazionale per la riduzione delle emissioni.

“L’Articolo 6 introduce l’Internationally Transferred Mitigation Outcome (ITMO) che è l’unità di misura dell’Accordo di Parigi.

Si tratta di un’unità di misura pari ad una riduzione di una tonnellata di CO2 emessa che può essere creata, trasferita e consumata – spiega Pallant – un componente chiave del sistema è il meccanismo di contabilità a doppia entrata per tracciare lo scambio transnazionale delle ITMO”.

Efficienza, trasparenza, scalabilità

“Stiamo costruendo il sistema su una blockchain pubblica in quanto qualsiasi strumento d’azione di scala globale dev’essere facilmente accessibile, costruito per facilità di collaborazione, trasparenza e scalabilità.

Se chiediamo alle Nazioni grandi e piccole di unire gli sforzi con alleati e nemici, questo strumento deve appartenere al mondo intero” ha dichiarato Pallant.

“Le emissioni annue raccolte in un Resoconto Nazionale del Carbonio sono solo numeri in un database.

Ma le ITMO sono asset individuali e la blockchain permette la creazione di asset digitali sicuri che non sono solo numeri in un foglio di calcolo – continua Pallant – e mentre chiunque può modificare a piacimento un database, un libro mastro su blockchain è crittografato in maniera tale che la creazione, il trasferimento e la distruzione di token possono avvenire solo in accordo con le regole del sistema”.

Secondo Pallant se l’umanità vuole sul serio fermare il cambiamento climatico questi “carbon asset” devono diventare uno degli asset economici più preziosi e fondamentali del mondo.

Una tecnologia promettente ma non ancora matura

Arun Ghosh, Blockchain leader di KPMG US, sottolinea che la tecnologia è ancora in fase di maturazione.

“Benchè non ancora matura, le soluzioni blockchain stanno portando livelli più alti di fiducia, trasparenza e trasferibilità tra persone ed organizzazioni che creano, distribuiscono e consumano beni e servizi. – spiega Gosh – La decentralizzazione e la verifica digitale rese possibili grazie alla blockchain stanno accelerando la governance ambientale, che è alla base della ricostruzione e delle sfide ambientali in atto quali l’innalzamento del livello dei mari, i rifiuti tossici e l’uso di combustibili fossili”.

James Wallace, Cofondatore di Exponential University, vede la questione in maniera leggermente diversa. Per lui la blockchain può riportare equilibrio nell’ambiente rimuovendo tutte le inefficienze lungo la supply chain (di praticamente qualunque bene).

“Involontari sprechi vengono generati da banali inefficienze di tracking, contabilità e processo, causati in larga parte dalla mancanza di interoperabilità tra sistemi diversi ed errori umani” spiega Wallace. Nella sua visione la blockchain può eliminare il ricorso a terze parti e la corruzione per i legami tra queste ed Istituzioni anche governative corrotte.

Nel settore energetico l’utilizzo di blockchain è già ampiamente diffuso. Per esempio a Singapore è stato recentemente lanciato un mercato per l’energia rinnovabile basato su questa tecnologia che consente alle aziende di scambiare certificati di energia rinnovabile in modo conveniente e sicuro.

La “tokenizzazione” dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili renderebbe possibile una vendita diretta peer to peer dell’energia prodotta in eccesso da chiunque abbia un impianto, ad esempio, fotovoltaico.

Questo potrebbe essere un ulteriore incentivo alla transizione verso una generazione di energia elettrica sempre più green.

IOT, DLT ED AI

Definiti da alcuni la “troika distruttiva”, l’Internet delle Cose (IoT), la Distributed Ledger Technology (Dlt) e l’Intelligenza Artificale (Ai) offrono uno straordinario potenziale di innovazione, oltre che la possibilità di dare soluzioni per contrastare i cambiamenti climatici ed il riscaldamento globale.

“Se l’IoT riesce a collezionare i dati, il Dlt può amministrarli e convertirli in informazioni, mentre l’Ai può imparare e creare sistemi per fare pronostici più accurati” ha dichiarato Nick Beglinger, amministratore delegato di CleanTech21.  “L’utilizzo congiunto delle tre tecnologie ha di fatto il massimo impatto”.

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