L’insieme dei problemi causati dal cambiamento climatico dovuto principalmente all’uso scellerato di combustibili fossili ha costretto l’Europa e il mondo intero, come sappiamo, a correre ai ripari.
Per quanto riguarda il nostro continente, Bruxelles ha fissato al 20% entro il 2020 la produzione di energia da fonti rinnovabili sul totale della produzione, per passare al 30% del 2030.
Come è messa l’Italia?
Il dato di marzo 2017 segnalava al 17,5% la percentuale coperta dalle energie rinnovabili sul totale dei consumi. E’ un dato molto positivo, tenendo conto che nel 2004 la percentuale sul totale raggiungeva poco più del 6%.
Nonostante queste buone notizie, va però notato che le cifre degli ultimi anni sono in controtendenza, a seguito di un calo nella copertura della domanda di elettricità da parte dell’energia pulita: nel primo semestre 2017, infatti, le fonti rinnovabili coprono appena il 33,6% della domanda di elettricità nel nostro paese, ma erano al 40,1% nel 2014.
Questa flessione nella copertura è dovuta al progressivo calo nella produzione di energia da fonti rinnovabili: nel periodo gennaio-giugno del 2014 la produzione ammontava a 62,17 TWh; nello stesso periodo del 2015 a 57,1 TWh, mentre l’anno scorso ci siamo assestati sui 55 TWh.
Quest’anno siamo fermi al 51,9 TWh. Dal 2014, insomma, si sono persi circa 10,2 TWh di elettricità verde .
A cosa è dovuto questo freno della produzione di energia pulita?
Come segnala Terna, uno dei più grandi operatori europei di reti per la trasmissione di energia, proprietario principale della Rete di Trasmissione Nazionale italiana dell’elettricità in alta e altissima tensione, la perdita maggiore è dovuta al calo della produzione da idroelettrico: sono ben 3 i TWh in meno generati rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, in percentuale un clamoroso -14,1%.
Come l’idroelettrico, anche l’eolico fa segnare cifre da capogiro al ribasso, con una produzione in calo del 13,7%.
L’unica nota positiva in questo mare di negatività è il settore del fotovoltaico, in crescita di oltre il 12%, con quasi 1,4 TWh in più prodotti rispetto al 2016, per un totale di 12,6 TWh fotovoltaici – i quali contribuiscono alla copertura della domanda elettrica per l’8,2%.
Nonostante le perdite, a farla da padrona sulla copertura nazionale di energia elettrica è comunque l’idroelettrico che si assesta sul 12% del totale (il 35,6% sul totale nell’ambito delle rinnovabili).
Come dicevamo, però, il calo in questo settore è sconcertante considerando che nel 2014 l’idroelettrico assicurava per il 20% la copertura sulla domanda elettrica italiana.
Seguono, in terza e quarta posizione nella graduatoria della copertura di energie pulite nazionali sulla domanda di elettricità, le bioenergie (5,8%) e l’eolico (5,7%, più di un punto percentuale in meno rispetto al 2016). L’energia geotermica sfiora il 2% della copertura.
Per quanto i dati siano negativi relativamente agli anni precedenti, i numeri non sono preoccupanti in rapporto agli altri paesi dell’eurozona.
L’Italia, come segnalavamo all’inizio dell’articolo, si assesta su buone percentuali rispetto ai programmi fissati dall’Unione e l’andamento degli ultimi anni non deve scoraggiare, anche tenendo conto che un paese come la Germania fa segnare un primo semestre del 2017 ai nostri stessi livelli: lì, la percentuale di elettricità prodotta da fonti rinnovabili è del 35%, poco più che in Italia.
A far sorgere qualche esitazione nel confronto, nonostante i numeri simili, sono le differenze rispetto all’anno scorso: come dicevamo all’inizio dell’articolo, in Italia la percentuale di copertura di energia elettrica è in flessione dal 2014 e rispetto al 2016 abbiamo perso circa 2 punti percentuale; al contrario in Germania la percentuale è in positivi: si è passati dal 33% toccato nel 2016 ad appunto il 35% di questo primo semestre del 2017.
Il trend tedesco può essere spiegato dalla buona volontà del governo di uscire dal nucleare entro il 2022, un obiettivo che a noi non può incentivare in quanto privi di fonti di produzione di energia nucleare (in seguito alla chiusura delle centrali grazie al referendum del 1987 e a quello abrogativo del 2011, con cui si è segnalata chiaramente la volontà degli italiani di escludere la possibilità di nuovi insediamenti nucleari).