Uragani sempre più distruttivi stanno mettendo in pericolo sempre più persone e strutture, in particolare negli Stati Uniti. Maria, Irma, Harvey, Sandy, Katrina, Andrew.
Per le comunità costiere le cicatrici sociali, economiche e fisiche lasciate dagli uragani sono devastanti.
Trend riscontrabili nel fenomeno degli uragani
Il numero e la potenza delle tempeste sono molto variabili di anno in anno, il che rende difficile osservare una logica nella frequenza o nell’intensità degli uragani nel tempo.
L’avvento dei satelliti ha permesso di tenerne traccia in maniera più consistente. Il numero e la forza delle tempeste antecedenti gli anni ‘70 sono meno consistenti, complicando lo studio dei trend di lungo termine.
Per poter affrontare questi problemi gli scienziati simulano modelli di uragani calibrati mediante osservazioni storiche per poter ottenere delle proiezioni future e capire meglio quali fattori influenzano queste proiezioni.
Studi recenti suggeriscono che vi sia stato un incremento di questi fenomeni negli ultimi 40 anni.
Il sistema attuale categorizza la forza degli uragani in una scala da 1 a 5 a seconda della velocità dei venti. Uno studio del 2005 ha mostrato un grande incremento nel numero di uragani che raggiungono le categorie 4 e 5 in Nord America comparando gli ultimi 15 anni con i 15 anni precedenti.
Anche dati raccolti dalla misurazione delle onde confermano questa tesi.
Vi sono anche prove di un’aumentata attività per quanto riguarda gli uragani nel settore settentrionale dell’oceano Pacifico, chiamati tifoni. Per quanto sia meno chiaro l’aumento in altre zone del pianeta il trend di intensificazione è molto probabilmente un fenomeno globale.
Non è invece cambiata di molto la frequenza degli uragani nel mondo. Ogni anno se ne formano circa 90 in tutto il mondo, la maggior parte dei quali nel più grande oceano del pianeta, il Pacifico.
Fattori che influenzano il potenziale distruttivo degli uragani
Gli oceani hanno assorbito negli anni il 93% dell’aumento di energia intrappolata dall’effetto serra tra il 1971 ed il 2010. Non è un caso quindi che il riscaldamento climatico aumenti la probabilità di fenomeni estremi che li coinvolgano.
L’aumento di temperatura, e quindi di energia disponibile, è probabilmente alla base dell’intensificazione degli uragani negli ultimi anni. Dal 1970 la temperatura della superficie del mare è aumentata in media di 0,1°C all’anno. Questo riscaldamento si nota specialmente nell’Atlantico settentrionale.
Il livello del mare si sta inoltre alzando per l’effetto combinato dell’aumento di temperatura dell’acqua e lo scioglimento dei ghiacciai sulle terre emerse. Livelli più alti del mare offrono alle tempeste un punto di partenza più alto, favorendone la penetrazione all’interno della terra ferma.
Aggregando questi dati con una popolazione costiera che rappresenta circa il 40% della popolazione statunitense (circa 123 milioni di persone) ed in costante aumento è facile capire come il potenziale distruttivo degli uragani sia molto probabilmente destinato ad aumentare sempre più.
Come la temperatura in aumento alimenta gli uragani
Gli uragani hanno bisogno di un’alta umidità, venti relativamente costanti a differenti altitudini ed una temperatura della superficie degli oceani superiore ai 26°C. L’innalzarsi di aria calda ed umida dall’oceano è uno dei fattori che li alimentano.
Bisogna poi considerare altri due fattori. Per prima cosa, l’aria calda può trattenere più vapore acqueo dell’aria fredda. Ecco quindi che le temperature in aumento portano con loro uragani dalle precipitazioni ancor più torrenziali.
In secondo luogo, se in precedenza l’acqua fredda appena sotto la superficie degli oceani poteva frenare la formazione degli uragani, ora, con l’aumento della temperatura, anche questi strati sono caldi e benchè risucchiati dall’uragano non riescono ad indebolirlo.
Non tutti i cambiamenti indotti al clima però favoriscono la formazione di uragani. Ad esempio si pensa che il riscaldamento climatico porterà a maggiori differenze nei venti alle diverse altitudini dell’atmosfera, il cosiddetto “vertical wind shear”. Questo interferirebbe con la loro formazione.
Tuttavia, computando i vari fattori, un mondo più caldo porterà verosimilmente a uragani dai venti più forti e dalle precipitazioni più abbondanti.
E’ ormai dimostrato infine che esistono cicli naturali riguardanti la circolazione delle correnti oceaniche calde e fredde che influenzano l’intensità degli uragani.
Una di queste è l’”oscillazione meridionale El Niño” che causa, per l’appunto, la fase calda conosciuta come “El Niño”. Vi sono evidenze scientifiche che essa tenda a sopprimere gli uragani in Australia e Stati Uniti, ma potenzi il rischio di tifoni in Asia.
Queste oscillazioni possono quindi mascherare gli effetti dell’attività umana sugli uragani.
Cosa ci riserva il futuro
L’incremento atteso dagli scienziati è ad oggi un raddoppio o più nella frequenza di uragani di categoria 4 e 5 entro la fine del secolo, con l’Atlantico settentrionale come teatro principale.
L’aumento previsto tra uno e quattro metri del livello del mare favorirà inoltre la penetrazione di questi fenomeni sempre più nell’entroterra.
Data la perdita di vite umane ed infrastrutture che un uragano comporta è essenziale intervenire al più presto per evitare un pericoloso riscaldamento del clima e proteggere le popolazioni più esposte.