Cittadini Ecologisti

Quanto inquina il digitale?

Avete mai pensato a quanto inquinano le operazioni digitali che facciamo ogni giorno? Se la vostra risposta è no, sappiate che il vostro tempo online è tutt’altro che a impatto zero.

Volete qualche esempio? Mandare una mail con allegato immette 50 grammi di CO2 nell’atmosfera, lo scroll compulsivo della home di Facebook contribuisce con 299 grammi all’anno e una ricerca sul web pesa 0,2 grammi (in caso aveste voglia di verificare questa notizia).

È bene non spaventarsi difronte a queste notizie, visto e considerato l’importanza che ora riveste il mondo digitale nelle nostre vite, ma anche diventare più consapevoli che a ogni nostra azione (anche sul web) corrisponde una reazione in termine di impronta ecologica.

Il peso di Information Technology e Data Center

Cercando di dare un peso, più o meno approssimativo, all’inquinamento del settore dell’Information Technology possiamo dire che si attesti intorno al 4% delle emissioni di CO2 a livello globale con un aumento (previsto) di 3 volte entro il 2025 rispetto al 2010.

Inoltre, sempre secondo quanto stimato da Capgemini, nel 2025 l’I.T. avrà un’impronta di carbonio equivalente a 463 milioni di veicoli per anno, accentuata dall’esplosione digitale post-Covid.

Una delle questioni più importanti riguarda i data center, ossia tutte quelle apparecchiature e tecnologie necessarie al funzionamento del sistema informativo di un’azienda.

Rispetto a un ufficio tradizionale, il confronto è impari: un data center consuma dalle 10 alle 50 volte più energia per metro quadrato e i numeri sembrano destinati a salire con la crescita degli utenti collegati.

La buona notizia riguarda le azioni intraprese dai cloud che stanno facendo grossi investimenti per migliorare efficienza e sostenibilità con le rinnovabili.

Microsoft ha messo in moto un piano per passare al 100% delle rinnovabili nei suoi data center entro il 2025, Google ha segnato il 2030 come data limite per liberarsi dall’energia di fonti combustibili, mentre il gigante dei marketplace, Amazon, ha recentemente investito 6,5 gigawatt in energia eolica e solare.

Lo smaltimento dei device

Un altro problema riguarda l’impatto ambientale che deriva dalla produzione e lo smaltimento dei dispositivi elettronici.

Per estrarre i metalli, necessari alla costruzione dei device, l’ambiente deve sostenere un peso non indifferente. Il problema sono i costi legati alle energie fossili per la produzione che vanno a sommarsi ai costi per l’uso dei dispositivi stessi (strategia volta ad aumentare la durata del prodotto).

In un mercato dominato da Apple, Huawei, Xiaomi e Samsung, spiccano esempi come Fairphone che offre telefoni progettati con componenti modulari facilmente riparabili o Teracube, realizzato con un involucro biodegradabile che offre una garanzia di 4 anni.

Anche la questione smaltimento delle sostanze tossiche dei dispositivi è un problema su cui vale la pena porre la giusta attenzione.

Secondo il Global E-waste monitor 2020, il volume annuale dei rifiuti tecnologici è destinato a raggiungere le 74 milioni di tonnellate nei prossimi 9 anni e il dato diventa ancora più grave se si pensa al fatto che, attualmente, solo il 17,4 dei rifiuti elettronici viene riciclato.

Cosa possono fare le aziende?

Greenpeace ha alzato la voce nei confronti dei big tech accusati non solo di andare a rilento, ma anche di essere incoerenti sul fatto di fornire intelligenza artificiale alle società petrolifere per migliorare le estrazioni sul campo.

Eppure, basterebbe davvero poco per cambiare le carte in tavola adottando meccanismi efficienti di trasferimento dei dati, per esempio, passando all’edge computing, un processo che sfrutta l’energia di dati più vicini alla fonte e non lontani centinaia di chilometri.

Tra le big di settore, la prima che ha deciso una strategia volta al taglio dei costi è Samsung, che dal 2025 incorporerà materiali riciclati nei nuovi device, eliminando la plastica dal packaging e puntando alla riduzione al di sotto di 0,0005 W per i caricabatterie.

Cosa possiamo fare noi?

In attesa delle azioni dei big tech, anche noi possiamo fare la nostra parte per ridurre la nostra impronta ecologica digitale. Ecco le 10 regole, riportate da ilsole24ore.it, tratte dalla guida dell’Agenzia francese per la transizione ecologica:

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