Uno studio fatto dai biologi Ehlers ed Ellrich e pubblicato recentemente lancia l’allarme su due nuovi tipi di plastica che inquinerebbero le coste dell’isola del Giglio, in Toscana.

Queste plastiche, chiamate “plasticrust” e “pyroplastic” sono state già osservate rispettivamente presso l’isola di Madeira, in Portogallo, e sulle coste della Gran Bretagna. Ma di cosa si tratta nello specifico?

Plasticrust

Il nome deriva, come intuibile, dalla contrazione di “plastic crust”, e si tratta per l’appunto di una vera e propria crosta di plastica che si forma sulle rocce, a seguito del continuo sfregamento di sacchetti e bottiglie. Con l’ausilio della spettroscopia ad infrarossi i ricercatori sono riusciti a risalire al materiale preciso che compone la crosta, ovvero il polietilene (PE). Lo studio rivela inoltre che questa nuova forma di plastica tende a formarsi in aree interessate da una costante esposizione alle onde.

Di colore in genere bianco o blu la crosta che risulta da questo processo meccanico è molto difficile da togliere, sfuggendo alle azioni di pulizia tradizionali, che si limitano a rimuovere gli oggetti di plastica visibili ad occhio nudo.

Nel caso di Madeira, data l’alta temperatura raggiunta dalle rocce vulcaniche che costituiscono la costa, le particelle di polietilene si fondono e si saldano, legandosi al substrato roccioso.

Il fenomeno fu notato per la prima volta da Ignacio Gestoso, un ricercatore presso la sede di Madeira del Marine and Environmental Research Center.

Notato solo in un luogo, negli scorsi tre anni Gestoso ha ritrovato il composto in più punti, a sottolineare come l’inquinamento da plastiche nel tratto di mare presso Madeira (e non solo) stia peggiorando.

Pyroplastic

Anche qui l’etimologia del nome ci dà un primo indizio, in quanto ritroviamo il prefisso “pyro”, ovvero fuoco in greco antico, e “plastic”. Si tratta in effetti dei residui di plastica bruciata esposti per lungo tempo all’azione chimica e meccanica dell’acqua di mare. La spettroscopia rivela che si tratta in gran parte di polietilene tereftalato, o PET, il componente principe delle plastiche usate per bottigliette d’acqua o contenitori di liquidi in genere.

La causa più probabile della sua presenza nei mari è lo smaltimento indiscriminato di questi materiali mediante combustione sulle spiagge. Che si tratti di falò estivi o di azioni deliberate, queste bottiglie bruciate, per quanto sembrino sparire, lasciano dietro di sè moltissimi residui solidi. Questi vengono poi trasportati dalle correnti anche molto lontano rispetto al luogo d’origine, e finiscono in gran parte nella catena alimentare marina, finendo potenzialmente anche sulle nostre tavole.

Impiatti sull’ecosistema marino

Un esempio dei danni provocati da questi due nuovi tipi di plastica è la littorina, una lumaca marina dotata di conchiglia che si nutre delle alghe che crescono sugli scogli. Esemplari di questa specie sono stati ritrovati sia sulle rocce che sulla plasticrust. I ricercatori hanno perciò motivo di credere che la lumaca mangi anche la plastica, comportando l’assunzione di quella plastica anche per le specie animali che si nutrono di queste lumache, come uccelli, granchi o altri.

Così anche la pyroplastic, trattandosi di un residuo di dimensioni molto piccole, può entrare nella catena alimentare marina. Inoltre, andando a ricoprire rocce e fondali, questi residui riducono di fatto la superficie disponibile per la crescita delle alghe, mattone fondamentale per la vita ospitata in mari e oceani.

Che fare?

Secondo le stime più affidabili, nel 2050 avremo prodotto più di 25.000 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, di cui la maggior parte di provenienza domestica.

Solo una piccola parte verrà riciclata o incenerita.

Nel nostro piccolo, se vogliamo difendere la salute dei mari e preservarne le forme di vita, la prima cosa da fare è cambiare le nostre abitudini di acquisto. Come? Applicando i principi delle 4 R:

Ridurre: optare per prodotti con meno imballaggi, borse in stoffa, batterie ricaricabili…

Riusare: scegliere il vuoto a rendere, il vetro al posto della plastica…

Riciclare: selezionare i rifiuti, adottare la raccolta differenziata…

Recuperare: produrre oggetti diversi dalla loro funzione originale, inventare nuovi utilizzi…

Senza un deciso cambiamento di abitudini d’acquisto, corrette pratiche di riciclo, riduzione, recupero, riutilizzo degli oggetti in plastica, ci troveremo sempre al punto di partenza, in un eterno gioco dell’oca dove alla fine i perdenti saremo sempre e solo noi stessi.

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