C’era una volta l’Amazzonia, foresta pluviale tropicale in Sud America, tra Brasile (65% del territorio amazzonico), Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana e Suriname.
La foresta amazzonica è il polmone verde del pianeta – e non è soltanto un modo di dire: con i suoi milioni di chilometri quadrati di alberi e piante l’Amazzonia ha un ruolo fondamentale nella regolazione del clima globale: da sola, la foresta è in grado di convertire la gran quantità di energia solare che l’investe in 8 miliardi di tonnellate di vapore acqueo, destinate, a causa del ciclo dell’acqua, a bagnare e rinfrescare tutta la sfera terrestre.
C’era una volta l’Amazzonia, però, perché dal 1970 ad oggi la deforestazione la sta lentamente uccidendo.
Storia
In epoca pre-colombiana buona parte dell’Amazzonia era una terra fertile e agricola, densamente popolata.
Vennero poi Colombo e gli europei, portatori di batteri e tecnologie: la foresta si spopolò e crebbe selvaggia ad un ritmo vertiginoso. Ma l’industrializzazione prima o poi arrivò anche lì: nel 1972 venne inaugurata la Transamazzonica, un’autostrada che pur permettendo migliori spostamenti tra le lontanissime e isolate regioni amazzoniche, facilitandone l’accesso nelle parti più interne accelerò l’insediamento di coloni.
Coloni che nel corso degli anni ’70 iniziarono a stabilire le loro aziende agricole in vari punti della foresta, attuando quella pratica tristemente nota come “taglia e brucia” (anche detta debbio): i coloni bruciavano piccole parti di foresta, lasciando che i nutrienti provenienti dalla cenere fertilizzassero la terra; ma la fertilità del suolo, attraverso questo metodo, non durava che un paio di anni: dopodiché i coloni si muovevano un poco più in là, e ripetevano il processo. Si stima che circa il 30% della deforestazione totale sia stata causata dall’azione di questi piccoli agricoltori.
Ebbene: dal 1970, nella sola parte brasiliana, quasi 800.000 km quadrati di foresta amazzonica sono scomparsi, lasciando spazio ad agricoltura ed allevamento. Volete un confronto? La penisola iberica ha un territorio di 600.000 km quadrati. Immaginateli ricoperti di alberi e selva, natura viva: chiudete gli occhi. Poi, quarant’anni dopo, riapriteli: solo campi, sterminati campi senza vegetazione naturale. In percentuale la foresta amazzonica brasiliana si è rimpicciolita del 18% rispetto alla sua grandezza originale – e per quanto riguarda il totale della foresta, si stima che circa un quinto sia già andato perduto.
Tasso di perdita della foresta
Abbiamo visto che la deforestazione è sostanzialmente iniziata negli anni settanta e che ad oggi circa un quinto del totale è stato deforestato. Dopo una vertiginosa accelerata iniziale, il tasso di perdita forestale è rimasto costante fino ai primi anni novanta: dal 1991 al 2003, il tasso annuo è notevolmente aumentato e gli sterminati habitat pluviali sono stati sostituiti dai pascoli per il bestiame.
Ed è proprio al settore zootecnico che si deve gran parte della perdita forestale: una relazione del 2009 di Greenpeace sostiene che l’allevamento bovino era responsabile di circa l’80% di tutta la deforestazione nella regione. Come affermavamo poco sopra, sono i piccoli proprietari terrieri i più letali. E’ ovvio, però, che queste piccole aziende agricole sono sostenute dalle produzioni internazionali – che sono, possiamo dire così, i mandanti di un tale efferato crimine.
Oltre all’allevamento, l’agricoltura ha il suo notevole peso nella deforestazione amazzonica: fino al 2006 una delle principale cause di perdita forestale era la coltivazione della soia.
Il picco nel tasso annuo di deforestazione si è avuto nel 2005, quando 27,423 chilometri quadrati di foresta sono stati tagliati. Dopo quella terribile annata, anche grazie a numerose iniziative ambientaliste e governative, i tassi di deforestazione sono rallentati incredibilmente e dai 27 mila km quadrati del 2004 si è passati ai 4,571 del 2012.
Certo: quasi cinque mila chilometri di foresta scomparsa sono tanti, tantissimi – ma niente in confronto agli anni passati.
Purtroppo, però, dopo una relativa stabilità nel basso tasso annuo, tra l’agosto del 2015 e il luglio del 2016 si è avuta una nuova impennata nella deforestazione: l’Amazzonia ha perso in quell’anno 7,989 chilometri quadrati di vegetazione: l’equivalente della scomparsa di un territorio corrispondente a 128 campi da calcio l’ora.
Il futuro della Foresta Amazzonica
Il futuro dell’Amazzonia è quanto più imprevedibile. Come abbiamo provato a spiegare, il tasso di deforestazione varia di anno in anno, rendendo vane le stime sul futuro del nostro polmone verde.
Certamente la foresta non morirà domani: vi sono ancora più di sei milioni di chilometri quadrati di splendida e rigogliosa vegetazione naturale. Tuttavia, al ritmo di 128 campi di calcio l’ora, è chiaro che la morte è solo rimandata.
Nonostante questo, qualche buona notizia c’è: il governo brasiliano ha annunciato che nei prossimi 15 anni l’obiettivo è di eliminare totalmente la deforestazione illegale, insieme ripristinando 120 chilometri quadrati di foresta e recuperandone 150 dai pascoli degradati.
Forse, allora, chissà, potrà succedere che il bene che l’uomo può fare per il mondo sconfiggerà la sua controparte malvagia.