Il benessere equo e sostenibile (BES) è un indice che valuta il progresso della società non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale.

E’ corredato inoltre da misure di disuguaglianza e sostenibilità. Sviluppato da Istat e Cnel, il 28 luglio 2016, è entrato per la prima volta nella storia all’interno del Bilancio dello Stato, il che ha consentito da quella data, di rendere misurabile la qualità della vita e valutare l’effetto delle politiche pubbliche su alcuni parametri sociali fondamentali.

Giunto nel 2016 alla sua quarta edizione, il Rapporto Bes offre un quadro generale dei principali fenomeni che hanno modificato di recente l’evoluzione del nostro Paese, attraverso una gamma di indicatori molto ampia, composto da 12 domini.

Due importanti novità sono presenti nel rapporto di quest’anno: la prima l’abbiamo già annunciata, ed è l’inclusione del rapporto nel Bilancio di Stato.

Questa porterà alla redazione da parte del Ministero dell’economia e delle finanze di due documenti, redatti sulla base dei dati forniti dall’Istat: nel primo, allegato al Documento di Economia e Finanza, si descrive l’andamento negli ultimi tre anni degli indicatori di benessere e si studiano delle previsioni sulla loro evoluzione; nel secondo, che dev’essere presentato al Parlamento entro il 15 febbraio di ogni anno, viene esaminata l’evoluzione dell’andamento degli indicatori di benessere in relazione agli effetti determinati dalla legge di bilancio per il triennio in corso.

La seconda novità è l’approvazione del rapporto da parte delle Nazioni unite dell’Agenda 2030, e cioè l’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile, e dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, organizzati in un sistema di 169 target e oltre 200 indicatori, con i quali vengono fissate le azioni da compiere per uno sviluppo sostenibile negli anni a venire a livello mondiale.

La grande innovazione di questo rapporto risiede nell’aiuto concreto che potrebbe fornire alla classe politica, facendo un’attenta analisi e individuando le priorità e i problemi principali del paese. Allo stesso tempo, se il progetto si dovesse rivelare vincente, a posteriori si potrebbe anche valutare ex-ante gli effetti degli interventi di politica economica sul benessere.

Gli indicatori statistici sono uno strumento più che adeguato per analizzare da cosa sono state orientati e influenzati i processi decisionali di un paese. Li vedremo più attentamente nel seguito, ma è possibile affermare che non sono solamente indicatori di natura prevalentemente macroeconomica come il Pil, il tasso di inflazione e il rapporto deficit/PIL, che sono da ormai tanto tempo entrati a pieno titolo in tutti i vari campi della programmazione politica.

Gli indicatori di natura socio-economica e quelli ambientali, invece, si sono potuti consolidare all’interno di questo contesto solo negli ultimi anni. Il loro ruolo è stato dunque riconosciuto sebbene ancora oggi, dopo mezzo secolo, sia in corso un dibattito globale sulla loro rilevanza.

Fortunamente sempre più persone pensano che la sostenibilità ambientale debba essere considerata come un tassello fondamentale di un processo di miglioramento delle condizioni di vita. L’Istat, a questo proposito, ha costituito una Commissione scientifica di esperti dei diversi domini riconducibili al benessere, i quali hanno studiato e individuato quelli che secondo loro sono gli indicatori statistici adeguati per misurare le diverse problematiche individuate dal Comitato di indirizzo.

Da questo impegno nasce il progetto BES, in cui sono stati individuati 12 domini e 130 indicatori. Il traguardo che si vuole raggiungere grazie al rapporto tiene conto sia degli aspetti che hanno un impatto diretto sul benessere umano e sull’ambiente, sia quelli che misurano gli elementi funzionali al miglioramento del sistema uomo-mondo. Noi analizzeremo i 12 domini uno per uno, sintetizzando il rapporto dell’Istat. Essi sono così definiti:

  1. La salute: Si arresta l’aumento della vita media, sempre in calo la mortalità precoce.

La salute incide su tutte le dimensioni della vita delle persone e durante le sue diverse fasi. Modifica inevitabilmente le condizioni di vita dei singoli, ma anche i comportamenti, le relazioni sociali, le opportunità e le prospettive che questi hanno rispetto alla società, integrando, spesso, anche le loro famiglie.

Nel 2015 la speranza di vita alla nascita in Italia è di 82,3 anni. Il nostro Paese è tra i più longevi d’Europa. Gli indicatori di mortalità per causa monitorati nel Bes, hanno mostrato segnali di miglioramento, considerando l’ultimo anno disponibile. Tuttavia l’elevata longevità in Italia non è accompagnata da un’altrettanto buona sopravvivenza in condizioni di salute adeguate. Ad esempio, la speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni è di circa un anno inferiore alla media europea.

Il tasso di mortalità infantile è da anni tra i più bassi in Europa. Rispetto ad altri paesi europei, si nota una posizione di vantaggio per l’Italia, con una percentuale di persone di 15 anni e più con disturbi depressivi pari al 4,3% contro una media europea del 6,8%. Rispetto ai fattori di rischio per la salute come la dipendenza dal tabacco e l’eccesso di peso, l’Italia si colloca tra i paesi con i valori più bassi per entrambi gli indicatori. Non ci sono, da questo punto di vista, grandi differenze geografiche tra le varie zone del paese.

Importante è sottolineare anche un aspetto decisamente negativo per la salute, e cioè lo stile di vita sedentario, maggiormente diffuso tra le persone più anziane, ma tuttavia presente anche tra i giovani, per i quali alcune percentuali sono davvero rilevanti: ad esempio tra le giovani donne tra i 20 e i 24 anni, circa un terzo non pratica alcuna attività fisica nel tempo libero.

2. Istruzione e formazione: Standard e livelli sempre più alti, ma non basta.

I percorsi formativi svolgono un ruolo di primo piano nel mondo del lavoro, fornendo agli individui le conoscenze e le abilità di cui hanno bisogno, permettendo loro di prendere parte attivamente alla vita della società e all’economia del Paese. Inoltre, dei livelli di competenze più alti, spesso hanno effetti positivi sul benessere delle persone relativamente alla loro salute, alla partecipazione sociale e alla soddisfazione personale.

Nel 2015, il quadro generale segna un miglioramento della partecipazione ai processi formativi, tra cui l’incremento della quota di popolazione con un titolo di studio di alto livello (diplomati e laureati) e la riduzione dell’abbandono prematuro degli studi.

Al contrario, un segnale negativo è costituito dalla limitata partecipazione degli adulti alla formazione permanente. Questo accade perché le imprese investono nella formazione continua degli occupati risorse troppo limitate e perché il nostro sistema di istruzione non è in grado di recuperare gli adulti con un basso livello di qualificazione.

Nel complesso però, l’Italia è riuscita a ridurre, sebbene non colmandolo, il divario nei confronti degli altri paesi europei, accumulato negli anni passati. La forbice tra Nord e Mezzogiorno si è invece allargata ulteriormente, sia per quanto riguarda la partecipazione sia per le performance, tra cui l’acquisizione delle competenze di base. La competenza digitale, una delle più importanti in questo momento storico, si attesta al 19% per persone tra i 16 e 74 anni, al di sotto della media europea (28%). In ripresa è invece la partecipazione culturale (descritta dalle quantità di letture, dalle visite a mostre e a musei, dall’interesse nel teatro, nella musica e nel cinema). Forte è il divario di genere in questo ambito, a favore delle donne.

3.  Lavoro e conciliazione dei tempi di vita: Prosegue il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro

L’attivita occupazionale costituisce l’azione basilare di sostegno economico e di realizzazione delle aspirazioni individuali. Uno dei parametri principali della stabilità economica, della coesione sociale e della qualità della vita è proprio la stabilità occupazionale della popolazione. Gli obiettivi di questo dominio sono misurare la partecipazione al mercato del lavoro e valutare la qualità del lavoro, introducendo le varie componenti dell’occupazione in relazione a diversi indicatori: alla stabilità del lavoro e reddito, alle competenze, alla conciliazione degli orari tra tempi di lavoro, personali e familiari, alla sicurezza del lavoro e nel lavoro, alla partecipazione dei dipendenti alla vita dell’impresa/ente/amministrazione e alla soddisfazione soggettiva verso il lavoro.

Nel 2015 i segnali di crescita dell’occupazione sono confortanti, anche se la ripresa nel Paese avviene con ritmi meno accentuati in confronto agli paesi europei. Significativa in questo senso è l’accelerazione del passaggio a condizioni di maggiore stabilità del lavoro, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione a tempo indeterminato. Nonostante questi miglioramenti in relazione al tasso di occupazione, l’Italia resta in fondo alla classifica dei paesi Ue (penultima insieme alla Croazia, davanti solo alla Grecia). In due campi in particolare non si sono osservati miglioramenti decisi, e cioè la sovra-istruzione (chi ha competenze superiori a quelle necessarie per il lavoro che svolge) e l’elevata incidenza del part time involontario (che riguarda chi ha un lavoro part time, anche se preferirebbe un posto a tempo pieno).

La soddisfazione per l’impiego svolto è passata da 7,2 a 7,3 su una scala da 0 a 10 nell’ultimo anno. Un altro dato interessante riguarda la riduzione del divario territoriale. Ciò che continua ad aumentare è invece il gap generazionale, con circa un terzo dei giovani italiani che non lavora ne studia.

4. Benessere economico: I segnali di miglioramento non sono ancora diffusi tra le fasce più deboli della popolazione.

È il mezzo attraverso il quale un individuo riesce ad avere e sostenere un determinato standard di vita. L’analisi fa riferimento a dati come il reddito, la ricchezza e la capacità di consumo.

Confrontandola al di fuori dei propri confini, l’Italia vive una crisi più profonda e quindi più lunga rispetto a gran parte dell’Unione Europea. Il dato in controndenza riguarda il livello di reddito disponibile, che è ancora prossimo alla media europea mentre quello della ricchezza è decisamente superiore. Nel 2015, la povertà assoluta tra gli individui ha raggiunto il valore più elevato a partire dal 2005, coinvolgendo 4 milioni e mezzo di persone, soprattutto per la gravità delle condizioni delle famiglie più numerose.

Questo vuol dire che esiste un’elevata disuguaglianza nella distribuzione del reddito che determina alti livelli di rischio di povertà. L’Italia, ha il19,9% della popolazione che rientra in questa categoria, collocandosi di 2,6 punti percentuali sopra alla media europea. Tra le difficoltà più gravi che riguardano le persone in povertà ci sono il problema nel riscaldare l’abitazione, il permettersi una settimana di vacanze ed effettuare un pasto a base di carne una volta ogni due giorni.

Qualche novità positiva però c’è: nel 2015, il reddito lordo disponibile delle famiglie consumatrici è infatti aumentato per il terzo anno consecutivo, questa volta con un incremento dello 0,9% rispetto all’anno precedente. Crescono con il reddito, conseguentemente, anche il potere d’acquisto e la spesa per consumi.

5. Relazioni sociali: Diminuiscono la soddisfazione per la rete familiare e amicale e la partecipazione politica.

I rapporti intrattenuti con le altre persone facenti parte della rete sociale nella quale si è inseriti influiscono sul benessere psicofisico dell’individuo e rappresentano una sorta di “investimento” in grado di rafforzare gli effetti del capitale umano e della società.

Per i rapporti interpersonali sono presenti livelli più bassi di soddisfazione rispetto a quelli medi europei oltre a una sfiducia diffusa nella possibilità di ottenere il sostegno di parenti, amici o vicini nel momento del bisogno. Solo il 22,5% delle persone dai 16 anni in su esprime un’elevata soddisfazione (tra 9 e 10) per i rapporti personali con queste figure (contro il 39,2% europeo). Nell’ultimo anno si osserva un aumento dei divari territoriali per quanto riguarda quest’ambito.

Negativa e decisamente in diminuzione è la partecipazione politica, che continua sullo stesso andamento iniziato nel 2014. La flessione è generale, da nord a sud, sia gli uomini sia le donne e in tutte le fasce di età, con un picco tra i 35 e i 59 anni. La riduzione è pari a 3,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente, e si attesta così al 63,1%. Inoltre sempre meno giovani vedono nel mondo politico una possibilità di futuro collocamento.

6. Politica e istituzioni: Ancora bassa la fiducia nelle istituzioni, sempre più donne nei luoghi decisionali.

La qualità e la correttezza dei processi decisionali politici sono essenziali per quanto riguarda la fiducia nelle istituzioni e in generale per il buon funzionamento del sistema democratico. Chiaramente, la trasparenza migliora i servizi pubblici e riduce allo stesso tempo i rischi di truffa, la corruzione e la malagestione dei fondi pubblici. Una società si sente unita ed è disposta ad aiutare il prossimo solo se i cittadini hanno fiducia nelle proprie istituzioni e nella pubblica amministrazione. L’opportunità di partecipare al processo decisionale è quindi un elemento estramamente rilevante per la qualità della vita, anche se in Italia spesso ce ne si disinteressa.

I soli membri che ricevono una buona fiducia da parte dei cittadini, e che superano la sufficienza nella scala da 1 a 10, rimangono i Vigili del fuoco e le Forze dell’ordine. La sfiducia nei confronti dei partiti, del Parlamento e dei vari consigli territoriali resta elevata, e nonostante qualche miglioramento, restano tutte sotto il livello 6.

Importante successo, in termini di diminuzione delle differenze di genere nell’ambito lavorativo, arriva dagli indicatori che misurano la rappresentanza femminile negli organi legislativi ed esecutivi nelle istituzioni europee e nazionali. Questi mostrano, soprattutto per l’Italia ma in generale in tutta Europa, un andamento positivo. In generale la percentuale di donne elette nel Parlamento europeo è del 37% nel 2016 rispetto al 35% del 2009 ed in 10 nazioni è aumentata nell’ultimo anno la quota di donne elette nei parlamenti nazionali.

7. Sicurezza: Migliora la sicurezza dei cittadini.

Le vittime di un crimine possono essere soggette a una perdita economica, a un danno fisico e/o a un danno psicologico dovuto al trauma subito. Inoltre il senso di vulnerabilità generato da episodi criminali ha un impatto importante sul benessere delle persone.
La paura di essere oggetto ad atti del genere può influenzare la libertà, la qualità della vita di un individuo e lo sviluppo del territorio.

Da questo punto di vista è incoraggiante la statistica secondo la quale continua la diminuzione degli omicidi (l’Italia si colloca tra i paesi con la più bassa incidenza). Non nel caso delle donne vittime dei partner però (nel 77,3% dei casi nella dimensione familiare o di coppia). Inizia a consolidarsi il calo dei reati cosiddetti predatori, con l’unica eccezione delle truffe informatiche. Per quanto riguarda i furti e le rapine, sia in abitazione che in attività commerciali, la situazione è ancora problematica, sebbene sia presente una bassa diminuzione.

La percezione della sicurezza è stabile e addirittura diminuisce la preoccupazione per sé o per altri membri della propria famiglia di subire una violenza sessuale. Particolarmente rilevanti per il raggiungimento di questo traguardo sono state le iniziative di sensibilizzazione e di prevenzione, quelle di supporto da parte dei centri antiviolenza, l’attenzione crescente da parte dei media, le norme approvate nei confronti delle donne vittime di reati.

Vengono notati meno di frequente segni di degrado sociale ed urbanistico nella zona in cui si vive (indicatori di inciviltà). Positivo è anche l’aumento generale della sicurezza nel Meridione.

8. Benessere soggettivo: Aumenta la soddisfazione ma anche l’incertezza per il futuro.

Con questo dominio si vuole misurare il benessere dalle persone, rilevando opinioni soggettive e percezioni sulla propria vita. E’ un’aggiunta importante a quelli che sono i temi oggettivi, perché rende questa ricerca in qualche modo omnicomprensiva.

Nel 2016, l’indicatore relativo alla soddisfazione per la vita ha mostrato segni di risalita, dopo il forte calo registrato tra il 2011 e il 2012 e la successiva stabilità, restando comunque inferiore rispetto alla media europea. Diminuisce, nello stesso periodo, la quota di coloro che guardano al futuro con ottimismo. A quanti è stato chiesto se pensano che la propria situazione nei prossimi 5 anni migliorerà, solo il 6,6% ha risposto di si, contro il 28,1% nel 2015. Non è una sensazione di un certo peggioramento, ma piuttosto prevale un senso di incertezza rispetto all’evoluzione della situazione del proprio futuro. Non emergono grosse differenze di genere, ma statisticamente sono leggermente più soddisfatti i giovani e coloro attivi nel mercato del lavoro o comunque impegnati in un’attività formativa (occupati e studenti).

Complessivamente la quota di persone che esprime una soddisfazione elevata della propria vita (corrispondente ad un punteggio tra 8 e 10) è pari al 41% (era il 35,1% nel 2015). E’ aumentata tra l’altro per tutte le ripartizioni territoriali e in misura maggiore nel Mezzogiorno. L’aumento osservato rispetto all’anno precedente è in maggior parte dovuto ad una crescita rilevante di soddisfazione tra i giovanissimi (14- 19 anni) e nelle classi centrali di età (tra i 35 e i 54 anni).

9. Paesaggio e patrimonio culturale: Segnali di arretramento nella tutela e nella valorizzazione di questi due aspetti.

Il paesaggio, la ricchezza e la qualità del patrimonio artistico, archeologico e architettonico sono chiaramente imprescindibili per il sistema Italia. Il diritto alla bellezza e la tutela del patrimonio culturale sono delle attività principali in cui il nostro Stato si deve impegnare, dimostrando un senso di interesse per la pubblica utilità delle bellezze del nostro paese. L’articolo 9 della Costituzione recita infatti: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Purtroppo negli ultimi anni non sta andando proprio così, anche per colpa della lunga crisi economica che ha caratterizzato questo periodo. Sono molti i casi di difficoltà e arretramenti, riconducibili alla riduzione sensibile della spesa pubblica destinata alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale. Preouccupante è anche la continua crescita del tasso di abusivismo. A fronte dello straordinario valore strategico che questa risorsa rappresenta, anche economicamente, per l’Italia, c’è un continuo disinteresse da parte delle istituzioni a finanziare progetti di sviluppo dell’ambiente e della cultura.

Si confermano, purtroppo e con tendenza regolare in questo dominio, forti disparità regionali negli indicatori che si riferiscono alle politiche pubbliche. I valori pro capite della spesa comunale per la gestione del patrimonio culturale sono al Nord, più che tripli rispetto a quelli del Mezzogiorno.

Come detto, la diffusione dell’abusivismo edilizio, in alcune regioni del Mezzogiorno supera ormai largamente il 50% della produzione di edilizia legale. L’insoddisfazione per il paesaggio del luogo abitativo (molto più diffusa nel Mezzogiorno) e la preoccupazione per il deterioramento del paesaggio (più sentita al Nord, raggiunge mediamente il 22,1% nel 2015, contro il 20,1% dell’anno precedente e il 18,3% del 2012) sono altri due elementi da tenere in considerazione per quanto riguarda il pensiero dei cittadini.

L’Italia ha il primato nella Lista dei patrimoni mondiali dell’Unesco per numero di beni iscritti (51, pari al 4,8% del totale).  Per la gestione di un patrimonio così importante, vengono utilizzati solamente risorse pari allo 0,32% del Pil, investimenti alquanto scarsi e inferiori alla media europea. La spesa per il patrimonio culturale è stata senz’altro una delle voci più penalizzate dal taglio degli investimenti pubblici.

10. Ambiente: Segnali di miglioramento ma persistono ritardi e difficoltà strutturali.

E’ visto come il capitale naturale che influenza il benessere umano sotto molteplici aspetti. Sia direttamente, attraverso le risorse, sia indirettamente attraverso i servizi promossi, l’ambiente condiziona fortemente la vita dei cittadini. Riguarda tutte le materie prime naturali per la produzione di energia e conseguentemente per l’economia, ma anche il piacere che ci dà il contatto con la natura.

In Italia c’è ancora una certa lentezza per quanto riguarda l’ampiezza e l’intensità delle risposte alle problematiche di salvaguardia dell’ambiente. A dire il vero, ciò è dovuto in gran parte all’esigenza di adeguamento alle normative europee e alle specifiche emergenze ambientali, che cambiano continuamente.

Una buona notizia arriva dall’aumento della disponibilità di aree verdi urbane accessibili ai cittadini (in cui sono inclusi anche gli orti urbani) e delle aree naturali protette, che coprono ormai più del 20% del territorio nazionale. Cresce complessivamente negli anni la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili, nonostante il calo registrato dal 2014 al 2015 (33,4% nell’ultimo anno, maggiore comunque del 27,5% europeo), e allo stesso tempo si contraggono le emissioni di gas serra (a favore della qualità dell’aria) e il consumo di materiale interno.

Crescente è inoltre la sensibilità dei cittadini nei confronti delle problematiche ambientali (il 22% delle famiglie italiane ha dichiarato di aver effettuato investimenti in denaro nel corso degli ultimi cinqua anni a favore di un più responsabile utilizzo di energia elettrica e termica). Non ci sono variazioni significative per quanto riguarda la balneabilità delle coste (circa il 66% è adibito a zona di balneazione).

Negativamente incide il settore dei rifiuti urbani. Si è infatti ridotta la quota dello smaltimento in discarica, pari al 31,5% del totale dei rifiuti urbani, che penalizza fortemente la possibilità di avviare i rifiuti a riciclo. L’alta dispersione di acqua potabile dalle reti di distribuzione comunale è un altro problema non da poco, in quanto circa il 38% del volume di acqua immessa in rete va disperso. Anche la quota di acque reflue urbane non trattate da impianti di depurazione continua a crescere.

Di notevole interesse è la presenza in 47 comuni di una rete ecologica, cioè una rete fisica di aree naturali frammentate
di pregevole fattura ambientale-paesaggistica, collegate da corridoi ecologici per facilitare la mobilità delle specie animali e tutelare il mantenimento della biodiversità anche in ambito urbano.

11. Ricerca e innovazione: Innovare rimane difficile.

Questi due aspetti danno un contributo non indifferente allo sviluppo sostenibile, soprattutto in Italia, la quale presenta un’economia che mostra un pesante ritardo in un contesto che invece attende risposte rapide alle sfide del cambiamento economico, demografico e sociale.

L’ambivalenza della situazione italiana in questo ambito è chiara. Esistono ritardi strutturali nelle attività di ricerca, ma allo stesso tempo, in termini di performance, i risultati positivi sono significativi relativamente alla propensione innovativa delle imprese. Gli investimenti per la ricerca rimangono sotto la media europea, ma l’incidenza dei lavoratori della conoscenza (e cioè coloro che lavorano nel campo di ricerca & sviluppo) risulta in aumento, sebbene coloro che svolgono professioni scientifico-tecnologiche con formazione universitaria siano solo il 15,7%.

I dati sui brevetti confermano le difficoltà italiane nell’attività brevettuale. Nel 2014 le domande di brevetto presentate all’Ufficio Europeo dei Brevetti per milione di abitanti sono state 69,5. Confrontato con la media europea pari a 111,6, risulta un valore troppo basso, soprattutto perché in Italia l’autofinanziamento è la principale fonte di finanziamento in qualunque settore.

Nel triennio 2012-2014 si è ridotto il numero di imprese che innovano. Si attesta inferiore al 50%, la percentuale di imprese con 10 o più addetti che ha svolto attività di innovazione in questo periodo (44,6%). Rispetto al triennio precedente (2010-2012), la propensione innovativa media delle imprese è diminuita sensibilmente (-7,3 punti percentuali). Questa caduta di investimenti per il settore della ricerca è condizionata dal rallentamento delle innovazioni non tecnologiche, cioè quelle organizzative e di marketing. Le grandi imprese (più di 250 addetti) sono state le uniche a non mostrare segnali di rallentamento.

12. Qualità dei servizi: Ancora differenze territoriali nell’erogazione dei servizi.

Le infrastrutture e i servizi, presi in considerazione analizzando la loro efficacia, il grado di utilizzo, le misure di accessibilità, la qualità del servizio generato, sono l’ultimo dominio preso in considerazione.

I servizi pubblici che si analizzano tramite diversi indicatori sono caratterizzati da tre aspetti fondamentali: l’accessibilità, l’equità e l’efficacia. L’eterogeneità offerta dai servizi sociali e socio-sanitari rappresenta un punto di forza del nostro paese, con settori in miglioramento ed altri che evidenziano una bassa criticità. L’offerta e l’efficacia dei servizi presentano invece molte differenze territoriali, con una forte differenza da Nord a Sud.

Ad esempio, l’offerta di servizi per l’infanzia e cioè la disponibilità di posti in asili nido e micronidi e i servizi integrativi per la prima infanzia è caratterizzata da una lenta diminuzione, anche seha un ruolo fondamentale nella conciliazione famiglia-lavoro. L’assistenza domiciliare integrata ha avuto invece un leggero incremento tra il 2012 e il 2013, proseguendo nel trend crescente degli ultimi anni.

I servizi di pubblica utilità, con particolare riferimento alla distribuzione di acqua, gas ed energia elettrica sono anch’essi servizi molto importanti. Nell’ultimo anno si è verificato un lieve peggioramento per tutti e 3 gli indicatori.

Nel rapporto è stato possibile misurare il livello di benessere soggettivo che gli individui associano ai loro tempi di vita. Tra questi sono presenti i tempi dedicati agli spostamenti. In un giorno feriale il giudizio generale espresso legato agli spostamenti è abbastanza positivo (1,39 in una scala da -3 a +3). In questo ambito continua a ridursi, nei capoluoghi di provincia, l’offerta di trasporto pubblico locale, nonostante sia presente un leggero aumento della domanda del 1,1%.

Un altro dato analizzato è la situazione nelle carceri italiane. Secondo le stime diminuisce l’affollamento nelle prigioni del nostro Paese, anche grazie al proseguimento dell’adozione di misure alternative alla detenzione di cui nel 2015 hanno beneficiato 2.379 detenuti.

Per raggiungere gli importanti obiettivi per cui si propone il Bes, con l’intento di aiutare gli enti governativi, occorrerà un intenso lavoro di programmazione su cui il Comitato per gli indicatori di benessere ha già cominciato a lavorare. In quest’ambito, l’esperienza del rapporto Bes 2016 costituirà ovviamente per loro un punto di riferimento essenziale.

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