Il 30 Marzo si è tenuta una riunione della Conferenza Stato Regioni: nel programma della riunione vi era anche l’intenzione di discutere del Piano di Conservazione e Gestione del Lupo in Italia, ma anche questa volta nessun provvedimento definitivo è stato preso.
Neanche questa volta, sì, perché è dal 2 febbraio che il Piano aspetta di essere approvato o rifiutato. Quel giorno le pressioni delle associazioni animaliste, WWF in testa, erano riuscite a far slittare l’approvazione del decreto al 23 febbraio; poi, il 23 febbraio, si è deciso che prima della votazione definitiva il ministro Gian Luca Galletti e i presidenti delle Regioni dovessero incontrarsi per trovare un accordo migliore – perché l’attuale Piano di Conservazione e Gestione del Lupo prevede come ultima misura, la 22/a, l’abbattimento fino al 5% della popolazione complessiva del lupo in Italia. Proprio questa possibilità estrema, prevista anche dalla direttiva comunitaria Habitat del 1992, ha scatenato le furie dell’opinione pubblica, capitanata dal WWF.
La storia
Negli anni ’70 la popolazione dei lupi in Italia era allo stremo: nella penisola non vi erano che un centinaio di esemplari, gli altri abbattuti dal proliferare dei bracconieri. La situazione era talmente disperata che, grazie alle battaglie di interessati e animalisti, nel 1971 è arrivata la messa al bando della caccia del lupo: oggi si stimano tra i mille e i duemila lupi in Italia, concentrati soprattutto nelle regioni appenniniche.
Tenendo in considerazione che in Francia come in Svezia si contano circa 300 lupi e in Germania poco più di una ventina di branchi, si può affermare che l’impegno delle associazioni in difesa dei lupi, nel nostro paese, ha facilitato il ripopolamento di una specie che era sull’orlo dell’estinzione.
C’è, però, una nota dolente: con sempre maggior frequenza i branchi di lupi predano il bestiame degli allevatori — allevatori su cui per altro, ora come ora, gravano i costi delle perdite (per fare un esempio, per l’Emilia Romagna nel 2012, il totale dei danni si aggirava sui 150mila euro l’anno. Sembra comunque corretto un confronto: il fagiano fa danni per 160mila euro, per il cinghiale sono 310mila, la lepre 350).
Per risolvere la problematica e insieme contrastare l’azione deleteria del bracconaggio, il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, insieme a 70 esperti, ha stilato il Piano di Conservazione e Gestione del Lupo in Italia.
Il Piano di Conservazione e Gestione del Lupo in Italia
Nel Piano si prevedono “21 azioni per potenziare la conservazione del lupo, ridurre la mortalità, contrastare il bracconaggio e migliorare la coesistenza con le comunità umane”, ha spiegato Luigi Boitani, professore di biologia della conservazione della Sapienza di Roma che ha partecipato all’elaborazione del documento presentato dal Ministero dell’Ambiente.
“A parer mio si tratta di un buon piano […].Ovviamente è frutto di un tentativo di mediazione, che cerca di mettere d’accordo gli estremi opposti: chi vorrebbe arrivare all’eradicazione di questi animali dal nostro paese, e chi invece chiede che non siano toccati”.
Il WWF, s’intende, è dalla parte di chi non vuole che i lupi siano toccati: il WWF, insomma, è contro quella 22esima misura che prevede l’abbattimento del 5% degli esemplari – una misura che comunque sarebbe applicabile soltanto nel caso in cui le precedenti non abbiano dimostrato efficacia necessaria per contrastare il predaggio del bestiame.
Le critiche al Piano
Il documento, come già detto, prevede 22 misure per favorire la convivenza fra lupi ed attività agricole: recinti elettrificati, procedure più rapide per i rimborsi agli allevatori, lotta agli incroci tra cani e lupi. Su alcune di queste proposte il WWF è d’accordo.
A non andare giù all’ONG, però, è l’extrema ratio dell’uccisione volontaria del lupo. Secondo l’associazione l’abbattimento della specie come strumento di limitazione dei danni è un grave errore.
Il WWF presenta 10 ragioni supportate da materiale scientifico per chiarire le motivazioni dietro al rifiuto della misura 22/a: tra queste ragioni, spicca la numero sette: “il paradosso degli abbattimenti“.
Secondo questo paradosso l’uccisione controllata di esemplari di lupo allo scopo di contenere i danni agli allevamenti è una chimera: “una ricca bibliografia scientifica internazionale mostra che questa pratica produce in molti casi un effetto contrario […]. Molti studi dimostrano che il numero dei danni è aumentato, per motivazioni legate all’etologia della specie”.
Dello stesso proposito anche Andrea Bogiatto, Dog K9 Trainer, che in un’intervista a La Stampa sostiene che l’abbattimento dei lupo comporterebbe un problema legato alla struttura sociale dei lupo: “se nelle uccisioni venisse abbattuto un esemplare alpha di maschio o una femmina, questo andrebbe a destabilizzare l’intero branco. Provocando una sorta di “lotta di potere” i cui effetti sarebbero molto più complessi di quanto si possa immaginare”.
Insomma, sebbene il Piano preveda misure sensate per limitare l’impatto della presenza del lupo sugli allevamenti, insieme preservandone la specie, è anche vero che l’opzione dell’abbattimento non ha dalla sua un’esperienza storica positiva. Là dove l’abbattimento è stato tentato, ha comportato l’aumento o l’indifferenza dei casi di predaggio delle bestie. Nonostante questo è forse il caso che le Regioni e il Ministro dell’Ambiente, così come il WWF, trovino un accordo affinché, perlomeno, il bracconaggio smetta di essere un’opzione viabile da parte degli allevatori che vedono il loro gregge decimato.