In seguito alla multa multimilionaria comminata dall’AGCM ad Apple e Samsung per obsolescenza programmata, vale la pena interrogarsi: di cosa si tratta? Ma soprattutto, sono loro le uniche colpevoli?
Vendere, vendere, vendere
Questo è il mantra di qualunque azienda. Tuttavia è il come la vera sfida.
Certo, si può puntare alla qualità del prodotto, o sul marketing, in maniera da creare bisogni nei cosiddetti “consumatori” (ovvero ognuno di noi). D’altra parte in un’economia quale quella in cui viviamo il “consumo” è fondamentale. Senza di esso le aziende non possono vendere, e quindi nemmeno produrre e quindi nemmeno dare lavoro, inceppando la ruota che fa girare il nostro mondo.
Ma che fare quando si vendono beni di cui il mercato è ormai saturo e non si riesce a proporre innovazioni significative da anni? Avete indovinato: parliamo di smartphone. Parliamo in particolare di Apple e Samsung, multate rispettivamente di 10 e 5 milioni dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato per “obsolescenza programmata”. Si tratta di una delle prime sentenze al mondo che affronta il tema della caducità dei dispositivi elettronici, ovvero l’adozione di accorgimenti tecnici e strategie che “costringono” il consumatore alla sostituzione di vecchi prodotti.
Costretti a cambiare
Apple e Samsung hanno infatti deciso di rilasciare aggiornamenti software per iPhone 6 e Note 4, rispettivamente, che hanno di fatto provocato un decadimento nelle prestazioni di quei dispositivi. Un aspetto sottolineato nel provvedimento del Garante è stato quello della mancata informazione degli utenti che, scaricando ed installando gli aggiornamenti, anziché un beneficio avrebbero riscontrato delle problematiche, che vanno dal rallentamento della responsività, alla diminuzione della durata della batteria, fino ad arrivare in alcuni casi a spegnimenti improvvisi degli apparecchi.
D’altronde Apple non sarebbe nuova a questo concetto: già nel 2003 dovette affrontare una class action partita con l’accusa all’azienda di Cupertino di aver progettato le batterie dell’iPod per durare intorno ai 18 mesi, senza offrire ai consumatori la possibilità di comprare batterie di ricambio. La causa si concluse con un patteggiamento, senza che però Apple ammettesse mai di aver volutamente ricercato l’obsolescenza del proprio prodotto.
Un fondamento dell’economia
Smartphone e dispositivi elettronici non sono però l’unico caso in cui si riscontra il ricorso all’obsolescenza programmata. TV, elettrodomestici, mezzi di trasporto, addirittura pezzi d’arredamento, niente è al sicuro da questa prassi.
E pensare che il termine «obsolescenza pianificata» comparve per la prima volta in letteratura nel 1932, anno in cui il mediatore immobiliare Bernard London propose che fosse imposta alle imprese per legge, così da poter risollevare i consumi negli Stati Uniti durante la grande depressione.
Oggi sappiamo che essa è un peso insostenibile per il nostro pianeta, in quanto ci costringe a sprecare risorse ed immettere CO2 nell’atmosfera, oltre che occupare sempre più spazio nelle discariche. «Estendere di un solo anno la vita di aspirapolveri, computer, lavatrici e cellulari europei farebbe risparmiare 4 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, pari alle emissioni prodotte da 2 milioni di auto», ha dichiarato Ugo Vallauri, fondatore di The Restart Project, il movimento internazionale che ha appena lanciato la campagna europea sul diritto di riparare la tecnologia.
Diritto a riparare
Arriviamo quindi al tema del diritto a riparare, portato avanti dal movimento dei cosiddetti “fixer” o, in italiano “riparatori”. Sì perché di fronte ad un guasto, avendo la possibilità di riparare facilmente un bene, risulterebbe di fatto risolto il problema. Il 19 ottobre scorso si è svolta per l’appunto la Giornata mondiale dei riparatori, con eventi chiamati “Restart Party”, dove ci si incontra per riparare oggetti di consumo e dare loro nuova vita.
Non solo smartphone
Un esempio di battaglia per il “diritto di riparare” è quello degli agricoltori americani, alle prese con uno scontro senza esclusione di colpi con il principale produttore di trattori a stelle e strisce, John Deere, che non consente la riparazione dei mezzi se non a tecnici in possesso di licenza rilasciata dal produttore stesso.
La battaglia legale sul tema è in corso e l’esito non è ancora chiaro.
La normativa sta arrivando
Chiaro è invece l’impegno dell’Unione Europea per porre un freno alla pratica dell’obsolescenza programmata. La Ue ha infatti messo a punto dei regolamenti che stanno per diventare legge proprio in questi giorni. A partire da marzo 2021, alcune categorie di elettrodomestici potranno essere messe in commercio solo se saranno costruite in maniera tale da rendere semplice lo smontaggio ai fini della riparazione. Inoltre, le aziende dovranno garantire la produzione e la commercializzazione dei relativi pezzi di ricambio per almeno 7 anni da quando il prodotto viene ritirato dal mercato.
In Italia è attualmente in esame al Senato la proposta del disegno di legge 615 contro l’obsolescenza programmata dei prodotti, che pone limiti ancora più stringenti alle case produttrici rispetto a quelli dei regolamenti europei. Si vuole vietare, per esempio, non solo di mettere in atto tecniche di costruzione che rendono impossibile, difficoltosa od onerosa la riparazione, ma anche porre un limite al costo delle parti di ricambio, prevedendo sanzioni penali per chi non si adegua.